Canto alla luna
Traduzione di Giampaolo Gianese, ddrwydd da Wiccablog
Dea della notte, Luna misteriosa,
Signora del buio, Dea meravigliosa
Il bacio d'argento del tuo raggio lunare
Accoglie il Sole al suo lento calare.
Signora di arcana oscurità
Di magica Arte e fecondità
Solchi le nuvole nel cielo brunito
E la nuda Terra di luce hai riempito.
Tu, nostra Dea, Dea Lunare
A forma di falce la forma ci appare
Ombra tu formi e vai a dissipare
Passato e presente vai a rivelare
Muovendo i mari, tu, splendida Dea
Governi il ritmo della marea.
Dea della Luna, e di ogni saggezza,
Accolgo il tuo dono nella sua interezza
Che giorno per giorno accresce il potere
Di donna o uomo che vuole sapere
Per questo motivo io canto la Runa
Io prego la Dea, io prego la Luna
Per questo motivo io canto la Runa
Io prego la Dea, io prego la Luna
Per questo motivo io canto la Runa
Io prego la Dea, io prego la Luna
Canto alla terra
Traduzione di Giampaolo Gianese, ddrwydd da Wiccablog
Io sono l'albero e io sono il vento.
Sono la Terra e il mare d'argento.
Sono una figlia e madre amata.
Un'appassionata amante sfrenata.
Sono la pioggia e l'animo vero.
Quella che rende lo spirito intero.
Sono Fanciulla, Madre ed Anziana
E dappertutto regno sovrana.
Curo il raccolto e semino fiori.
Io sono dentro e io sono fuori.
Da Fanciulla vi dono gioia festosa.
Vi nutro da Madre assai generosa.
Da Anziana vi dono saggezza segreta.
Spartitevi i doni in pace completa.
Inno alle Muse"
Esiodo - Teogonia
Cominciamo il canto dalle Muse eliconie
che di Elicona possiedono il monte grande e divino
e intorno alla fonte scura, coi teneri piedi
danzano, e all'altare del forte figlio di Crono;
e bagnate le delicate membra nel Permesso
e nell'Ippocrene o nell'Olmeio divino
sul più alto dell'Elicona intrecciavano danze
belle e soavi, e si muovevano con piedi veloci.
Di lì levatesi, nascoste da molta nebbia,
notturne andavano, levando la loro bella voce;
celebrando l'egioco Zeus e Era signora,
argiva, dagli aurei calzari,
e la figlia dell'egioco Zeus, Atena occhi-azzurri,
e Febo Apollo, e Artemide saettatrice,
e Posidone, signore della terra, scuotitore del suolo,
e Temi veneranda, e Afrodite dagli occhi guizzanti,
e Ebe dall'aurea corona, e la bella Dione,
e Leto e Iapeto e Crono dai torti pensieri,
e Aurora, e Sole grande e Luna splendente,
e Gaia, e il grande Oceano, e la nera Notte,
e degli altri immortali, sempre viventi, la sacra stirpe.
Esse una volta a Esiodo insegnarono un canto bello,
mentre pasceva gli armenti sotto il divino Elicona;
questo mythos, per primo, a me dissero le dee,
le Muse d'Olimpo, figlie dell'egioco Zeus:
"O pastori, cui la campagna è casa, mala genia, solo ventre,
noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero,
ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare".
Così dissero le figlie del grande Zeus, abili nel parlare,
e come scettro mi diedero un ramo d'alloro fiorito,
dopo averlo staccato, meraviglioso; e mi ispirarono il canto
divino, perché cantassi ciò che sarà e ciò che è,
e mi ordinarono di cantare le stirpi dei beati, sempre viventi;
ma esse per prime, e alla fine, sempre.
Ma a che tali discorsi sulla quercia e la roccia?
Orsù, dalle Muse iniziamo, che a Zeus padre
inneggiano col canto rallegrano la mente grande in Olimpo,
dicendo ciò che è, ciò che sarà, ciò che fu,
con voce concorde; e instancabile scorre la voce
dalle loro bocche, dolce. Ride la casa del padre,
Zeus tonante, delle dee alla voce delicata,
che si diffonde; e risuona la cima dell'Olimpo nevoso
e la dimora degli immortali; esse la divina voce levando
degli dei la venerata stirpe per prima celebrano col canto
fin dall'inizio: quelli che Gaia e Urano ampio generarono
e quegli dei che da loro nacquero, dispensatori di beni,
e dopo, come secondo, Zeus, degli dei padre e degli uomini,
che le dee celebrano cominciando e terminando il canto,
quanto sia il migliore degli dei e per forza il più grande;
poi degli umani la stirpe e dei possenti Giganti,
cantando rallegrano in Olimpo la mente di Zeus,
le Muse olimpie, figlie di Zeus egioco.
Le partorì nella Pieria, unitasi al padre Cronide,
Mnemosyne, dei clivi d'Eleutere regina,
che fossero oblio dei mali e tregua alle cure.
Per nove notti ad essa si unì il prudente Zeus,
lungi dagli immortali, il sacro letto ascendendo;
ma quando fu un anno e si volsero le stagioni,
al decrescer dei mesi, e molti giorni furono compiuti,
allora lei partorì nove fanciulle di uguale sentire, a cui il canto
è caro nel petto, e intatto da cura hanno il thymos,
poco lontano dalla più alta vetta dell'Olimpo nevoso;
e là sono i loro splendidi cori e la bella dimora;
vicino a loro stanno le Grazie e Desiderio
nelle feste; e loro dalla bocca l'amabile voce levando
cantano i nomous e i saggi ethea
degli immortali celebrano, l'amabile voce levando.
Esse allora andarono all'Olimpo, fiere della bella voce,
con l'immortale canto; e attorno risuonava la terra nera
ai loro inni, e amabile sotto i loro piedi un suono si alzava
all'incendere verso il padre che regna in cielo,
lui, signore del tuono e della folgore fiammeggiante
che con la forza vinse il padre Chronos, e bene ogni cosa
fra gli immortali divise ugualmente e distribuì gli onori.
Ciò dunque le Muse cantavano, che abitano le olimpie dimore,
le nove figlie dal grande Zeus generate,
Clio e Euterpe e Talia e Melpomene,
Tersicore e Erato e Polimnia e Urania,
e Calliope, che è la più illustre di tutte.
Ella infatti i re venerati accompagna:
quello che onorano le figlie di Zeus grande.
e quando nasce lo guardano, fra i re nutriti da Zeus,
a lui sulla lingua versano dolce rugiada,
e dalla sua bocca scorrono dolci parole; le genti
tutte guardano a lui che giustizia (themistas) amministra
con retti giudizi; mentre lui parla sicuro,
subito, anche una grande contesa, placa sapientemente;
perché è per questo che i re sono saggi, perché alle genti
offese nell'assemblea danno riparazione
facilmente, con le dolci parole placandole;
quando giunge nell'assemblea come un dio lo rispettano
con dolce reverenza, ed egli splende fra i convenuti.
Tale è delle Muse il sacro dono per gli uomini.
Dalle Muse infatti e da Apollo lungisaettante
sono gli aedi sulla terra e i citaristi,
da Zeus i re; beato colui che le Muse
amano; dolce dalla sua bocca scorre la voce;
se c'è qualcuno che per gli affanni nel thymos recente di lutto
dissecca nel dolore il suo cuore, se un aedo
delle Muse ministro le glorie degli uomini antichi
celebra, e gli dei beati signori d'Olimpo,
subito scorda i dolori, né i lutti
rammenta, perché presto lo distolgono i doni delle dee.
Inno a Venere
Lucrezio
Madre degli Enèadi, piacere degli uomini e degli dèi,
Venere vivificante, che sotto le mobili costellazioni celesti ravvivi il mare portatore di navi,
la terra che reca le messi, poiché grazie a te ogni genere di esseri animati è concepito e vede,
(una volta) nato, la luce del sole: te, dea, te fuggono i venti,
te ed il tuo arrivo le nuvole del cielo,
per te la terra industriosa fa crescere i fiori soavi,
per te sorridono le distese marine, e, rasserenato, brilla di una luce diffusa il cielo.
Infatti, non appena la bellezza del giorno primaverile
[la bellezza primaverile del giorno] si svela,
ed il soffio del favonio vivificatore,
dischiuso, prende forza,
per prima cosa gli uccelli del cielo annunciano te e il tuo arrivo,
o dea, colpiti in cuore dalla tua potenza.
Quindi le bestie feroci [oppure: le bestie selvatiche (e) gli animali domestici]
balzano qua e là per i pascoli rigogliosi
ed attraversano i fiumi vorticosi:
così (ciascuna bestia), presa dal (tuo) fascino,
ti segue desiderosa ovunque tu voglia
condurla [dove insisti a condurla].
Infine per i mari ed i monti ed i fiumi impetuosi
e per le frondose dimore degli uccelli ed i campi verdeggianti,
ispirando a tutti nel cuore un soave (sentimento d’)
amore, fai sì che con desiderio propaghino le loro generazioni stirpe per stirpe.
E poiché tu sola governi la natura,
e senza di te nulla nasce nelle divine [oppure: luminose]
plaghe del giorno [della luce],
e nulla diviene lieto né amabile,
desidero che tu (mi) sia compagna nello scrivere (questi) versi,
che tento di comporre sulla natura per il nostro discendente di Memmio (= Gaio Memmio),
che tu, o dea, hai voluto eccellesse in ogni tempo,
adorno di ogni qualità.
Tanto più, dunque, concedi, o dea,
un piacere inestinguibile alla (mie) parole.
Fa’ che frattanto le feroci occupazioni della guerra,
per (ogni) mare ed ogni terra, spente, si acquetino.
Infatti tu sola puoi giovare ai mortali con una tranquilla pace,
perché le feroci occupazioni della guerra (le) governa Marte bellicoso,
che spesso si abbandona sul tuo grembo,
vinto dall’eterna ferita d’amore,
e così levando lo sguardo, reclinato il morbido [ben tornito] collo,
nutre d’amore gli avidi sguardi,
anelando a te, o dea, e dalla tua bocca pende il respiro (di lui)
abbandonato (su di te).
E tu, o dea, abbracciando con il tuo santo corpo lui (così) disteso,
emetti dalla (tua) bocca soavi parole,
chiedendo(gli) per i Romani, o ìnclita, una tranquilla pace.
Inno a Dioniso
Omero
Figlio di Zeus, dio dall'aspetto di toro: alcuni dicono
che a Dracano Semele ti concepì e ti partorì a Zeus
signore del fulmine, altri a Icaro battuta dai venti,
altri a Nasso, altri lungo il fiume Alfeo dai gorghi profondi;
altri affermano che tu sei nato a Tebe, signore.
Mentono tutti: il padre degli uomini e degli dèi ti generò
lontano dalla gente, nascondendoti a Era dalle bianche braccia.
C'è un altissimo monte chiamato Nisa, fiorente di boschi,
al di là della Fenicia, vicino alle correnti dell'Egitto ...
*** "... a lei offriranno molte statue nei templi.
E poiché ti tagliarono in tre parti, ogni tre anni
gli uomini ti sacrificheranno perfette ecatombi, per sempre".
Così dicendo, il Cronide accennò con le sopracciglia
scure: i capelli divini ondeggiarono sul capo immortale
del sovrano, che fece tremare il vasto Olimpo.
Così parlò il saggio Zeus, e diede un ordine con il capo.
Siimi propizio, dio dall'aspetto di toro, che dai la follia
alle donne: noi aedi ti cantiamo all'inizio e alla fine,
e chi ti dimentica non può intonare una sacra canzone.
Così ti saluto, Dioniso dall'aspetto di toro,
e saluto tua madre Semele, che è chiamata Thyone